Da quando l’ha scoperto la Nasa, tutti noi sappiamo che possiamo usare le piante contro gli inquinanti indoor per limitarne la presenza e la pericolosità. Recentemente questa teoria è stata messa in dubbio, con ampio eco sui mass media, da chi sostiene – non è dato sapere su quali basi scientifiche – che la capacità di assorbimento delle piante è molto limitata e che si dovrebbero inserire centinaia di piante in una stanza per ottenere dei risultati.
Per combattere queste fake news, Promogiardinaggio e il Consolato Generale dei Paesi Bassi il 30 ottobre hanno organizzato una conferenza stampa, intitolata “Uffici verdi: i benefici delle piante da interno”, alla quale hanno partecipato come relatori scientifici Marco van Leeuwen di Airsopure e il professor Nelson Marmiroli, professore emerito di Scienze Chimiche della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma e direttore del Consorzio Interuniversitario Scienze Ambientali (Cinsa). Il professor Marmiroli è un luminare in materia e la sua specializzazione sono le fitotecnologie, cioè l’uso delle piante e diversi processi biologici per ottenere benefici. Per esempio nell’ambito della fitotrasformazione, della biorimediazione nella rizosfera, della fitostabilizzazione, della fitoestrazione e della fitovolatilizzazione. Tecniche utilizzate, per esempio, nell’industria mineraria e per il risanamento di aree fortemente inquinate, dove le piante sono un alleato importante del lavoro degli uomini. Presso l’Università di Parma negli ultimi decenni ha sviluppato numerose ricerche e sperimentazioni sulle capacità di assorbimento delle piante per limitare l’inquinamento domestico, con l’obiettivo di misurare le performance di molte varietà con i principali inquinanti indoor.
Una buona occasione per fare il punto sull’evoluzione delle ricerche della comunità scientifica internazionale.
Usare le piante contro gli inquinanti indoor: l’aria delle nostre case non è salubre
Le persone trascorrono circa l’80-90% del proprio tempo in ambienti chiusi: casa, ufficio, negozio, scuola, ecc. Una tendenza in continuo aumento, con l’aumento della popolazione nelle grandi città e l’abbandono delle campagne.
È scientificamente dimostrato che nell’aria degli ambienti indoor ristagnano dei composti chimici, che noi stessi distribuiamo spesso inconsciamente: dal fumo da combustione (sigarette, candele, camini, stufe a legna) fino ai composti chimici presenti nei detergenti o nei solventi contenuti negli adesivi e nelle vernici. I principali contaminanti di natura chimica, i composti organici volatili (VOCS Volatile Organic Compounds), sono: formaldeide, benzene, toluene, etilbenzene, xilene (BTEX), idrocarburi aromatici policiclici (IPA), ozono (O3), particolato aerodisperso (PM10, PM2,5), fumo di tabacco ambientale e pesticidi.
La comunità scientifica si è da anni interrogata sull’impatto per l’uomo dell’esposizione massiccia a questi composti chimici, con l’obiettivo di migliorare la qualità dell’aria anche negli ambienti confinati. Specialmente a tutela delle persone più vulnerabili, come bambini, anziani e infermi, in cui l’esposizione produce effetti maggiori.
I danni alla salute
Si definisce inquinamento indoor “la presenza nell’aria degli ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente nell’aria esterna di sistemi ecologici di elevata qualità” (Ministero dell’Ambiente Italiano, 1991).
L’inquinamento indoor è causa di specifici problemi di salute, che costituiscono la Sindrome dell’edificio malato dall’inglese Sick Building Syndrome (Sbs), che può manifestarsi in molti modi:
- nel sistema nervoso centrale: mal di testa, affaticamento, difficoltà di concentrazione, letargia, ridotta capacità cognitiva, malumore, irritabilità,
- nel sistema delle mucose: prurito e infiammazione agli occhi, naso e gola,
- nel sistema respiratorio: oppressione al petto, sintomi simili all’asma, percezione di odori sgradevoli,
- nell’epidermide: irritazione e prurito, dermatite atopica, eczema
- e nel sistema gastrointestinale.
In generale un’esposizione agli inquinanti indoor può provocare:
- danni a livello cellulare con alterazione di processi biochimici e metabolici,
- induzione di danni al Dna e mutazioni,
- intossicazioni acute,
- infezioni delle vie aeree,
- malattie cardiovascolari,
- malattie respiratorie e asma cronica,
- allergie,
- neoplasie.
Ma cosa avviene esattamente quando il nostro organismo entra in contatto con questi contaminanti? Il fegato, da cui passano in circolo i metaboliti, tenta di distruggere queste sostanze, così come tenta di distruggere i farmaci o le droghe. Nel fegato le sostanze chimiche subiscono un metabolismo in tre fasi (trifasico): una prima modificazione per renderlo più reattivo, una coniugazione (di solito con degli zuccheri) e l’eliminazione (espulsione con urine e feci).
Le piante sono il “fegato verde”
La comunità scientifica è quindi concorde che l’inquinamento indoor influenza la nostra salute, così come è concorde sull’utilità dell’uso delle piante per mitigare e ridurre gli effetti dannosi dei composti chimici volativi. Le piante agiscono esattamente come il nostro fegato: catturano, modificano e distruggono gli inquinanti. È scientificamente dimostrato (e misurato) che alcune piante assorbono gli inquinanti, dall’atmosfera o dal suolo, per trasformarli e metabolizzarli, oppure coniugarli e sequestrali in modo da renderli innocui.
Il fatto che la comunità scientifica abbia pensato alle piante per combattere l’inquinamento non deve stupire: la specie umana ha 2 milioni di anni di evoluzione, le piante sono qui da 500 milioni di anni e sono sopravvissute a tutti i disastri avvenuti nel nostro pianeta. Le piante c’erano già quando l’atmosfera era talmente inquinata da non permettere altre forme di vita: l’inquinamento che oggi spaventa noi, non spaventa le nostre piante, loro sopravviveranno.
Dalle radici e dalle foglie
Le piante possono ridurre gli inquinati indoor sia attraverso le radici sia attraverso le foglie.
Le sostanze inquinanti assorbite dalle radici vengono trasportate nella pianta insieme all’acqua. Nel terreno svolgono un ruolo determinante i microrganismi che vivono vicino alle radici e collaborano con esse per il disinquinamento dell’ambiente. Si tratta di un vero scambio di favori: le piante producono essudati, composti carboniosi che per i microorganismi sono nutrienti, ma anche composti che stimolano il metabolismo microbico. In cambio i microrganismi producono fattori di crescita per le piante, aumentano la solubilizzazione dei metalli e fissano l’azoto atmosferico. Il luogo in cui avvengono questi scambi è la rizosfera: un ambiente ricco di nutrienti e di biodiversità. Gli ammendanti sono utili per migliorare la qualità della rizosfera.
La seconda via attraverso cui le piante assorbono gli inquinanti indoor è il fogliame. Sulle foglie sono presenti dei piccoli fori, detti stomi, utili per la respirazione: Quando la pianta apre gli stomi per respirare e assumere ossigeno entrano anche le microparticelle inquinanti.
Le sostanze aspirate vengono sequestrate e trasformate, per essere assorbite o immagazzinate nelle pareti delle cellule o nei tricomi, piccole formazioni che si formano sulle foglie utilizzate per depositare le sostanze tossiche. All’interno delle cellule, sistemi enzimatici e proteici modificano la struttura chimica delle molecole inquinanti portando spesso alla loro detossificazione, oppure alla compartimentazione in particolari strutture: vacuoli e pareti cellulari.
Non tutte le piante sono uguali ed è quindi necessario svolgere ricerche per stabilire quali piante siano più efficaci nei confronti delle sostanze di maggiore interesse per limitare l’inquinamento indoor.
Le posizioni critiche
Come abbiamo detto all’inizio, recentemente hanno attirato l’attenzione dei mass media alcune posizioni critiche rispetto a queste teorie, rilanciate dal sito usa The Atlantic. Per rispondere a questi dubbi il professor Marmiroli ha invitato tutti a “toccare con mano”. La scienza offre la possibilità per fare queste misurazioni e gli studi condotti finora in tutto il mondo concordano sulla capacità delle piante di contribuire ad abbassare il livello degli inquinamenti negli ambienti. È stato verificato e misurato: sia in microgrammi per metro di contaminante distrutto in un’ora, sia per unità di volume dell’ambiente.
Esistono due metodologie validate per misurare la depurazione: il metodo diretto e indiretto. Il metodo diretto mira a quantificare nei tessuti della pianta la concentrazione dell’inquinante assorbito per unità di peso secco, attraverso l’utilizzo del radioisotopo 14C. Nel metodo indiretto l’assorbimento per unità di area fogliare viene calcolato come differenza di concentrazione dell’inquinante iniziale e finale nella camera in un intervallo di tempo stabilito.
I test condotti dall’Università di Parma e guidati dal professor Marmiroli prendono in considerazione molteplici fattori, come il volume di aria, il tempo di esposizione, la superficie fogliare, la biomassa vegetale, il volume della pianta, ecc. Le sperimentazioni condotte in questi anni hanno permesso anche la creazione di un database, che permette di mettere a confronto le capacità di assorbimento di varie specie di piante rispetto ai diversi inquinanti, espresso in microgrammi per metro cubo in 24 ore.
Così come sono state realizzate delle prove sul “campo”, cioè negli uffici e nelle aule scolastiche.
La foto di apertura è dello studio Green Fortune specializzato nella creazione di aree verdi negli ambienti indoor.