Dallo scorso 11 giugno i garden center in Lombardia sono una realtà riconosciuta nell’ambito della multifunzionalità delle imprese agricole.
Garden center in Lombardia: un traguardo storico
Come abbiamo anticipato, il Consiglio della Regione Lombardia lo scorso 11 giugno ha approvato una modifica della legge regionale 31, il testo unico in materia di agricoltura, con 43 voti a favore, 1 contrario e 26 gli astenuti. Le modifiche approvate intervengono su due materie principali e sono volte a valorizzazione la multifunzionalità agricola: un aggiornamento per l’agriturismo e le nuove disposizioni per le imprese florovivaistiche e la loro evoluzione in centri giardinaggio.
Il riconoscimento dei garden center in Lombardia è l’ultimo traguardo raggiunto da un iter iniziato il 2 luglio 2018, promosso dall’assessore all’Assessore Fabio Rolfi, che ha visto la partecipazione di Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Assofloro Lombardia, il Distretto Florovivaistico Alto Lombardo e naturalmente di Aicg (Associazione Italiana Centri Giardinaggio), che ha tra le sue missioni la tutela e la divulgazione della conoscenza del fenomeno dei garden center in Italia.
Il garden center lombardo esiste ed è un agricoltore
Prima di entrare nel merito delle varie norme, è opportuno premettere che per i centri giardinaggio si tratta di un importante traguardo: dopo il Veneto anche una importante regione come la Lombardia riconosce l’attività dei garden center e la definisce. Il primo risultato è che oggi possiamo dire che il centro giardinaggio in Lombardia è un’attività agricola a tutti gli effetti. E non è cosa da poco: nelle tante cause che hanno coinvolto i garden center italiani in questi anni, spesso è stata confusa l’attività agricola con quella commerciale, sfruttando sul fatto che il garden center non avesse una identità precisa. Normalmente a danno dall’imprenditore: per esempio non ti fanno vendere i barbecue perché sei un agricoltore, ma ti chiedono di pagare i rifiuti come un commerciante. Questa “crisi di identità” e il senso di essere sempre dalla parte sbagliata del coltello, non esisterà più per i garden center lombardi.
Il centro giardinaggio è una attività agricola ed è quindi soggetto a tutti i benefici ma anche ai limiti legati all’agricoltura: limiti di fatturato, della superficie utilizzata e nell’offerta.
I limiti di fatturato
Il Progetto di Legge lombardo si prefigge di “promuovere il settore del florovivaismo e favorirne la modernizzazione, nel quadro dei riferimenti normativi statali alla figura dell’imprenditore agricolo professionale” (art 75 bis – comma 1).
L’attività complementare di vendita diretta al dettaglio è possibile per “prodotti provenienti in prevalenza dalla coltivazione del fondo o da essi derivati, di prodotti agricoli acquistati da altri agricoltori, del medesimo settore o altro settore merceologico, e di prodotti non agricoli strettamente connessi all’attività principale” (art 75 bis – comma 2). La prevalenza – è espressamente indicato – si riferisce al ricavo conseguito dalla vendita dei prodotti provenienti dal fondo rispetto a quelli forniti da terzi.
Per i limiti di fatturato si rifà a una legge statale: l’art 4 del d.lgs. 228/2201 che al comma 8 dice “Qualora l’ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell’anno solare precedente sia superiore a 160.000 euro per gli imprenditori individuali ovvero a 4 milioni di euro per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114 del 1998” (cioè la Riforma della disciplina relativa al settore del commercio).
I limiti di superficie
La Regione Lombardia ha deciso che “la superficie destinata all’esercizio dell’attività di vendita dei soli beni connessi all’attività principale non può eccedere il limite del 10% del totale della superficie aziendale e comunque non può superare i 1.000 mq” (art 75 ter – comma 1).
Il limite a 1.000 mq è abbastanza irrealistico per i centri giardinaggio più grandi, e in Lombardia non mancano, ma la proposta di aumentarla a 1.500 mq, avanzata da Aicg, è stata fermata sul nascere sui tavoli di contrattazione dall’ostruzione di Confcommercio.
Per raggiungere l’obiettivo, il riconoscimento del garden center in Lombardia, si è soprasseduto sul limite di 1.000 mq. D’altronde anche in Veneto la prima legge del 1999 indicava una superficie di 250 mq, in seguito aumentata a 1.000 mq con un ampliamento dell’elenco merceologico, che oggi comprende tutta la griglia dei prodotti che possiamo trovare nei garden europei.
Resta il fatto che se fossero stati 1.500 mq sarebbe stata una legge migliore e avrebbe permesso a tutti i garden center attivi in Lombardia di continuare a lavorare tranquilli. Comunque è sempre meglio “litigare” per qualche metro quadrato in più che con persone che disconoscono l’attività vogliono farti chiudere o non aprire (come è successo recentemente a Blum di Rescaldina e Steflor di Vimodrone, entrambi in Lombardia).
A proposito di mq espositivi, in Veneto i garden center non considerano i corridoi che ovviamente rientrano nell’attività principale: non si può certo penalizzare l’esposizione esperienziale dei garden center che, come è noto, richiede ampi spazi. Vengono considerate quindi esclusivamente le pedane espositive, ben evidenziate e documentate su una mappa per permettere di effettuare facilmente eventuali controlli.
C’è infine un aspetto matematico interessante: nell’ambito dell’imprenditoria agricola il garden center può fatturare il 49% con prodotti di terzi ma li deve esporre su massimo il 10% dello spazio. Perché?
I limiti dell’offerta
Rispetto a quanto abbiamo pubblicato nel numero scorso, il Progetto di Legge ha subìto un ampliamento dell’offerta merceologica (art 75 ter – comma 2) con il coinvolgimento dei prodotti per animali.
I garden center potranno quindi vendere al dettaglio le seguenti categorie merceologiche:
a) “prodotti agricoli e derivati quali piante a radice nuda e in contenitore, comprese piante acquatiche, bonsai e piante grasse, fronde e fiori recisi, materiali da propagazione proveniente dalla propria azienda o da fornitori terzi;
b) Prodotti complementari all’attività principale quali:
1. Substrati colturali e prodotti per la cura del verde, quali humus, ammendanti, concimi, terricci, cortecce, torbe, prodotti fitosanitari non professionali;
2. Materiali per la messa a dimora delle piante quali vasi, fioriere, sostegni e graticci;
3. Materiali idonei a confezionare e decorare le piante e i prodotti derivati
4. Attrezzi e accessori per la gestione e cura del verde in giardino e in casa”.
5 Animali da compagnia e da cortile, prodotti e accessori ad essi dedicati
Le richieste di inserire “articoli per la casa e decorazioni natalizie” al punto 3 e “arredo giardino” al punto 4 per ora non sono state accolte. Ma la Giunta si è riservata la possibilità di migliorare il provvedimento con un merceologico più coerente con la realtà e con l’accordo delle parti sociali. Ci sono quindi buone possibilità che l’elenco merceologico venga migliorato. Se non altro per renderlo omogeneo a quello in vigore in Veneto, anche per evitare disparità per esempio tra le provincie di Brescia e Verona. Comunque, come vedremo alla fine, i garden center hanno tempo 12 mesi per adeguarsi, quindi c’è tutto il tempo necessario per migliorare l’elenco merceologico.
Nella stessa legge si dice (art 75 ter – comma 3) “La Giunta regionale può approvare disposizioni di maggior dettaglio dell’elenco merceologico di cui al comma 2. Con la medesima deliberazione può stabilire, con riguardo ai prodotti di origine extra aziendale, soglie massime di vendita di tali prodotti al fine di valorizzare le produzioni florovivaistiche locali”.
Sarebbe al contrario un danno economico molto rilevante se tutti i garden center lombardi dovessero togliere dagli assortimenti l’arredo per esterno, la decorazione e il Natale. Non si tratta solo di chiudere dei reparti, ma di mettere a rischio molti punti vendita che non riuscirebbero più a sostenere economicamente il negozio, con gravi rischi per l’occupazione.
Come avete letto la Giunta ha rinviato la paventata introduzione di una soglia di vendita dei prodotti florovivaistici lombardi. Una norma probabilmente contraria alle leggi sulla concorrenza nazionali ed europee e che rischiava di non permettere ai garden center di rispondere alle richieste del mercato. Inoltre, se consideriamo che l’attività principale dell’azienda agricola è la coltivazione nel fondo, già il 51% dell’offerta è “made in Lombardia”. Nulla in contrario alle vendite del prodotto locale, ma appare inopportuno introdurre una ulteriore soglia
Un altro aspetto con una certa criticità è rappresentato negli articoli connessi dei prodotti agricoli come piante, bonsai, ecc. (art 75 ter – comma 2). Quasi come a dire che il prodotto florovivaistico acquistato da terzi non sia prodotto agricolo ma collaterale: ricordiamo che l’attività di vendita del prodotto florovivaistico acquistato da terzi è libera come se fosse prodotto proprio. E non sviluppa alcun problema, né a livello fiscale o urbanistico, e può essere fatto in qualsiasi luogo dove opera l’attività florovivaistica indipendente dalla destinazione urbanistica.
Non solo: nell’ultima Legge di Bilancio è stata introdotta una modifica della disciplina della vendita diretta, che consente gli imprenditori agricoli di vendere al dettaglio, sempre in modo non prevalente, prodotti agricoli e alimentari di terzi appartenenti anche a comparti agronomici diversi, purché acquistati da un’altra azienda agricola. Ciò significa che i garden center possono – già oggi – nell’ambito del reddito agricolo vendere tranquillamente olio, pasta o vino, magari prodotta da imprese agricole locali.
Attenzione alle sanzioni e alle norme transitorie
Un’altra novità rispetto alla prima bozza è stata l’introduzione di sanzioni per i contravventori (art 162), che verranno stabilite in seguito.
Nelle norme transitorie (art 3) è precisato che “Ai florovivaisti è concesso un termine di dodici mesi a partire dal primo gennaio successivo alla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia della presente legge per adeguarsi ai parametri di cui all’articolo 75 ter, comma 1, della l.r. 31/2008”. Quindi dal 1° gennaio 2021.