Stiamo andando verso l’armonizzazione delle certificazioni ambientali nel florovivaismo, uno strumento fondamentale per aumentare il valore aggiunto dell’offerta. Ce ne parla Antonio Fracassi, responsabile di Mps per l’Italia.
di Antonio Fracassi, responsabile Mps per l’Italia
Il flusso delle informazioni associate oggi a qualunque filiera di prodotto o servizio è in qualche maniera correlato a un concetto di “sostenibilità”.
La comunicazione rivolta al consumatore finale, anche su tale aspetto, assume elementi dai processi dei diversi sistemi produttivi e li traduce in messaggi coordinati mirati a incidere positivamente sulle dinamiche di acquisto. Tutte le imprese orientate al mercato sono pertanto indotte a strutturare una propria “politica di sostenibilità” coerente e compatibile con quella dei propri partner.
Le organizzazioni distributive intermedie svolgono un ruolo determinante nell’armonizzare le diverse politiche adottate dagli attori della filiera e nell’individuare le linee strategiche comuni, delegando a team di esperti sui temi della qualità totale e della sostenibilità il ruolo di definirne i relativi piani attuativi.
Tra questi le certificazioni su base volontaria rappresentano un requisito basilare nella qualificazione dei fornitori e uno strumento cardine per standardizzare alcuni processi chiave nel controllo qualità. Oltre a ciò, viene molto spesso richiesto il possesso di requisiti aggiuntivi associati a indicatori di sostenibilità contraddistintivi dei rispettivi brand commerciali con i quali vengono presentati al consumatore finale.
I prodotti floricoli e ornamentali rispecchiano tale dinamica con una connotazione particolare per gli aspetti di natura emozionale che motivano all’acquisto.
Infatti il possesso di certificazioni volontarie applicabili al comparto rappresenta per i produttori una condizione necessaria ma non sufficiente per poter accedere alle reti distributive in quanto sono richiesti requisiti addizionali tra i più disparati, che spaziano dalle limitazioni nell’utilizzo di terricci provvisti di torba, al packaging con materiali compostabili fino alle restrizioni all’impiego di determinati fitofarmaci connotati da una “reputazione negativa”, quand’anche autorizzati dalla legislazione vigente. Su tale ultimo aspetto risulta inoltre evidente come la reputazione pubblica associata a determinati principi attivi derivi da episodi e circostanze riferibili ad altri comparti dell’agricoltura molto distanti da quello florovivaistico e ciò avviene frequentemente senza adeguate argomentazioni tecnico-scientifiche.
Ciò innesca spesso problematiche tecniche di difficile risoluzione in quanto la gamma dei fitofarmaci di cui è ammesso l’utilizzo, già fortemente ridotta dalle politiche comunitarie del Green Deal, viene a essere ulteriormente compressa in netto contrasto con il principio di rotazione che rappresenta uno dei caposaldi della difesa fitosanitaria integrata, rischiando di compromettere gli obiettivi di qualità estetica che devono necessariamente accompagnare i prodotti floricoli e ornamentali.
Esempi recenti riguardano le restrizioni imposte nell’utilizzo di alcune classi di prodotti per la difesa delle colture non selettivi per gli insetti impollinatori e di largo uso in ortofrutticoltura, che coinvolgono anche le coltivazioni di piante ornamentali da fogliame, dove tale rischio è da considerarsi effettivamente nullo in quanto tali tipologie di piante non presentano fiori o attrattori di sorta per gli impollinatori. Altro esempio riguarda alcune classi di erbicidi con profilo di rischio per gli organismi acquatici e di largo impiego nelle colture cerealicole estensive, ma che nel florovivaismo vengono utilizzate in quantità ridotte ed esclusivamente per il diserbo di aree aziendali marginali e a basso rischio di percolazione.
Constatato che il destinatario finale è sempre il consumatore, sarebbe interessante esplorare meglio quale sia l’effettiva percezione di loghi e slogan di sorta che evocano temi di sostenibilità e poter valutare meglio i risultati di queste restrizioni in termini di competitività sul mercato. Un esempio sono i numerosi operatori in Italia che si ritrovano a contatto giornaliero con fiori e piante ornamentali nelle rivendite e per l’allestimento floreale di cerimonie e che sono costantemente esposti a potenziali rischi di contaminazione da residui di fitofarmaci e per i quali avere la possibilità di manipolare prodotti “sicuri” per la propria salute avrebbe certamente un valore aggiunto superiore rispetto ad altri.
Armonizzazione delle certificazioni ambientali nel florovivaismo 2025
Immettere sul mercato prodotti provvisti di tali garanzie prevede di fatto il rispetto di buone prassi durante tutti le fasi produttive e che possono essere controllate solo nell’ambito di un sistema di gestione e controllo verificato da un soggetto terzo indipendente. Inserire arbitrariamente ulteriori requisiti incoerenti rispetto a quelli già previsti in tali schemi rischierebbe di fatto di compromettere l’efficienza e l’efficacia di tali sistemi.
Tutti gli enti di certificazione sono infatti soggetti a un rigido sistema di accreditamento che prevede verifiche annuali indipendenti e inoltre sono tenuti a nominare un comitato di revisione composto da esperti, accademici, rappresentanti di imprese del settore, del mercato e associazioni di consumatori, al quale demandare il compito di riesaminare periodicamente gli schemi certificativi e apportare, ove necessario, le opportune modifiche e aggiornamenti. Sarebbe quest’ultimo infatti il contesto adatto ove indirizzare gli input provenienti dalle diverse componenti del mercato per migliorare gli standard adottando modelli consolidati di cooperazione e sviluppo.
Tale orientamento è stato adottato anche dalla Floriculture Sustainability Initiative (Fsi), che riunisce i principali attori del settore floricolo e del verde ornamentale internazionale e che ha individuato nel rafforzamento e nell’armonizzazione dei diversi schemi di certificazione la strategia corretta per raggiungere entro il 2025 importanti obiettivi in materia di trasparenza, produzione e commercio responsabili, impatto positivo e miglioramento complessivo dell’intera filiera.