giovedì, Novembre 21, 2024

Crescono le vendite di substrati, in particolare il “bio”

Le vendite di substrati di coltivazione hobbistici, grazie a un clima favorevole, sono aumentate nel 2017 . Più problematico il 2018 a causa di una primavera ritardata dalle piogge. Intanto il mercato attende una nuova normativa europea e le industrie studiano soluzioni alla sostituzione della torba, cercando di evitare i preconcetti ambientalisti e di basarsi sulle evidenze scientifiche. Un processo in cui i rivenditori avranno un ruolo fondamentale per informare correttamente i consumatori ed evitare operazioni di semplice “greenwashing”. Ne abbiamo parlato con le principali imprese del settore: ecco le loro opinioni.

L’andamento delle vendite di substrati in Italia nel 2017

Come già successo nel 2016, anche nel 2017 le vendite di substrati di coltivazione hobbistici hanno giovato di un clima favorevole che ha favorito il sell out. In mancanza di indagini di mercato, ma è una lacuna che presto verrà colmata dall’Associazione di categoria Aipsa, abbiamo realizzato un sondaggio coinvolgendo le più importanti imprese del settore e possiamo stimare una crescita nel 2017 del 3%, con un giro d’affari di circa 63 milioni di euro, pari a circa 104 milioni di euro con prezzi al consumatore.

“Buono l’andamento dei substrati nel 2017 – spiega Laura Galli, responsabile marketing di Compo Italia -, che hanno avuto il vantaggio di una stagione lunga. Il terriccio è una categoria che sta reggendo bene in un mercato come quello del giardinaggio, caratterizzato da alti e bassi”.

“Il 2017 si è chiuso con un risultato molto positivo – conferma Mauro Giovanazzi, responsabile Hobby Garden di Agrochimica -. Il meteo particolarmente buono durante la stagione di vendita ha aiutato. A detta di molti operatori, il 2017 è stato un anno in cui la floricoltura ha mostrato finalmente qualche segnale di ripresa dopo periodi poco brillanti. Anche questo aspetto può avere influito sulla vivacità del settore”.

“L’andamento nel 2017 è stato molto positivo – spiega Davide Ferrari, product manager di Tercomposti – Triplo -. Si sono confermati i terricci universali e gli specifici soprattutto di fascia alta”.

“Il 2017 è stata un’ottima annata per i substrati e i terricci in genere, sia hobbistici che professionali – conferma anche Simone Gatti dell’ufficio commerciale di Terflor -. In particolar modo abbiamo goduto di una stagione cominciata assai presto (addirittura la prima metà di febbraio), con una primavera (periodo chiave per il nostro business) nella quale il bel tempo l’ha fatta da padrone, spingendo le vendite in modo particolarmente favorevole. I garden e le agrarie hanno lavorato molto bene con un sell out particolarmente veloce, il che ha avuto un forte riscontro sul sell in grazie a una corrente di riordini ininterrotta per tutta la stagione”.

Il sondaggio che abbiamo condotto grazie alla collaborazione delle imprese del settore ha evidenziato nel 2017 una crescita dei substrati universali e per acidofile e un boom dei terricci bio, passati dal 12% al 20% delle vendite totali.

vendite di substrati

Qualche ombra sul 2018

Meno positivo il primo semestre di quest’anno, funestato da un andamento climatico decisamente sfavorevole al mercato del giardinaggio che necessita di primavere soleggiate per poter esprimere al massimo il suo potenziale.

“Il 2017 ha beneficiato di una situazione meteorologica positiva in stagionalità: la primavera è stata calda e soleggiata – spiega Ernesto Ghigna, responsabile marketing e trade marketing di Vigorplant -. Al contrario, l’anno in corso ha subito l’impatto di una primavera molto piovosa, tanto da far registrare una fortissima flessione in marzo, che per alcuni retailer ha toccato il -50%, recuperata solo parzialmente nei mesi successivi. Sotto le Alpi le cose sono andate diversamente dal resto dell’Europa: per i nostri vicini d’oltralpe, a un pessimo marzo sono seguiti mesi splendidi che hanno permesso di recuperare interamente e chiudere in positivo il primo semestre”.

“Il 2018 si presenta tuttora molto instabile e incerto, pertanto risulta difficile fare delle previsioni attendibili – afferma Erika Toscano, import and sales manager di Arber Horticulture -. Ad oggi si registra un forte calo delle vendite, sicuramente dovuto in parte ad un andamento climatico sfavorevole”.

“L’anno che andrà a chiudersi tra qualche mese (l’autunno, qualora il meteo lo consenta, è un periodo con un buon fatturato) è stato caratterizzato da una stagione cominciata piuttosto tardi (attorno al 10 aprile) – spiega Simone Gatti di Terflor -. Comunque, nonostante la partenza in sordina, il periodo di aprile e maggio si è rivelato ottimo e, sebbene si siano dovuti fare dei miracoli dal punto di vista produttivo e logistico per poter accontentare tutti, i risultati sono stati egregi. Aggiungendo il fatto che il lavoro è continuato anche a giugno e luglio (quando solitamente il caldo blocca le vendite), si è riusciti a recuperare gran parte del fatturato perduto all’inizio della stagione. Attendiamo quindi fiduciosi i risultati dei mesi autunnali per vedere l’esito finale anche se, già da ora, il tutto lascia presagire un’annata positiva”.

vendite di substrati

Le aspettative verso le nuove norme europee

Nel marzo 2016 è iniziato un processo normativo europeo dei substrati di coltivazione, all’interno del più ampio regolamento dei prodotti fertilizzanti, relativo alla vendita di concimi e terricci con il marchio CE (in modifica dei regolamenti CE 1069/2009 e 1107/2009). La nuova normativa dovrebbe rendere più omogenea l’offerta in tutta Europa e potrebbe aumentare la competitività delle imprese italiane nei mercati internazionali. I condizionali sono però d’obbligo in considerazione del fatto che la discussione è ancora aperta.

Ma cosa si attendono le imprese italiane da questa nuova normativa?

“Questo regolamento ha una valenza particolare per chi effettua esportazioni, perché agisce in termini di armonizzazione dei criteri di etichettatura tra i paesi comunitari – spiega Paolo Notaristefano, responsabile vendite e marketing di Fertil -. Il valore dell’export nazionale di questa merceologia non ritengo sia per il momento tale da far apprezzare il vantaggio. Se non si assisterà a un’analoga evoluzione normativa nazionale, che andrà ad allinearsi ai disposti comunitari, temo che si instaurerà un regime di commercializzazione a doppio binario, con alcuni soggetti economici adeguati ai nuovi disposti e altri che preferiranno rimanere ancorati al tessuto normativo nazionale attualmente vigente. Il tutto potrebbe essere un fattore di confusione invece che di chiarezza, soprattutto agli occhi del consumatore. Poiché un sistema di controllo incentrato su due normative differenti, per parametri e metodi analitici, sarebbe di difficile gestione oltre che molto costoso, confido che il processo di recepimento nazionale sia celere, in modo da creare condizioni paritarie tra i vari soggetti economici. Fuor di dubbio che questo regolamento pone in carico ai produttori una serie di responsabilità e adempimenti aggiuntivi rispetto al quadro attuale, con risvolti economici non trascurabili. Il tutto si inquadra in un contesto di miglioramento delle garanzie e della qualità, che deve però accompagnarsi anche a necessari adeguamenti dei prezzi”.

“La nostra azienda si è già allineata da tempo alle normative europee – spiega Davide Ferrari di Tercomposti – e le nostre aspettative sono che questa regolamentazione diventi lo standard. Per quanto riguarda la competitività abbiamo alte aspettative, sostenute dal fatto che abbiamo investito in una nuova gamma (Triplo) particolarmente performante e tecnica”.

“Prima di trarre delle conclusioni finali sarà bene aspettare che il processo legislativo sia ben definito – afferma Simone Gatti di Terflor -. Sicuramente è interessante e soprattutto porterà anche il mondo dei terricci nell’ottica di un mercato ecocompatibile. Guardiamo comunque al tutto con grande fiducia dato che i nostri prodotti sono già da oggi tutti disponibili in versione eco. Inoltre stiamo lavorando da anni sulla selezione delle materie prime e sulla proposta di substrati che siano in totale rispetto dell’ambiente, dato che il futuro passerà inevitabilmente per questa strada. In sostanza siamo pronti ad affrontare la sfida e non vediamo l’ora che ciò avvenga, perché abbiamo davvero tante carte da giocare e perché, per Terflor, sarà uno stimolo in più per dimostrare il proprio potenziale ma anche per coronare tanti anni di ricerca e sviluppo”.

Sembra quindi che le maggiori conseguenze e forse anche i maggiori vantaggi riguarderanno soprattutto le imprese multinazionali:

“Innanzitutto – spiega Laura Galli di Compo Italia – bisognerà capire se questo regolamento verrà alla luce. Qualora fosse così, dovremo poi attendere gli eventuali adeguamenti a livello nazionale. Per società multinazionali, come Compo, con questo regolamento CE potremmo uniformare le dichiarazioni sugli imballi riducendo i tempi di creazione prodotti”.

Crescono i prodotti bio: quale futuro per la torba?

Come abbiamo detto, nel 2017 le vendite di prodotti bio hanno registrato il maggior tasso di crescita tra i substrati di coltivazione hobbistici, anche se la sensazione è che i consumatori italiani, rispetto a quelli del nord Europa, siano meno sensibili verso l’eliminazione della torba.
Va anche detto che non è facile trovare dei sostituti della torba che siano realmente sostenibili, specie se analizziamo tutti i fattori che concorrono alla “sostenibilità” di un prodotto: come l’emissione di gas serra, il consumo di acqua per produrli, il consumo di materiali fossili per trasformarlo e trasportarlo, la tossicità per l’uomo, la tossicità per gli animali e gli organismi acquatici e anche il degrado ambientale (cioè il cambio d’uso del suolo).
Se è infatti vero che la torba genera una perdita di carbonio e il degrado delle torbiere, va detto che il cocco consuma molta acqua (per il lavaggio, il buffering e la riespansione) e petrolio per il trasporto dai luoghi di coltivazione (ha il vantaggio di utilizzare un sottoprodotto, scarto delle lavorazioni delle industrie alimentari). Anche il legno provoca il consumo delle foreste e di molta energia per la sfibratura ed è una risorsa rinnovabile solo se ha una certificazione come il Forest Stewardship Council (Fsc). I minerali provocano degrado ambientale e un alto consumo di energia per i trattamenti. Infine il compost perde carbonio durante il compostaggio, anche se ha il vantaggio di riciclare dei rifiuti.
Un bel rebus quello dell’eliminazione della torba e del peat free che, se non analizzato e comunicato correttamente al consumatore, rischia di dar vita a operazioni più di facciata che di sostanza.

“Prima di tutto è necessario sgombrare il campo da un ambientalismo preconcetto – spiega Paolo Notaristefano di Fertil -. Mi sono occupato personalmente del primo substrato peat free italiano, registrato con marchio di qualità ecologica europeo Ecolabel, nel 2004. Questo credo testimoni la mia personale sensibilità ai temi di impatto ambientale. Tuttavia dobbiamo dire chiaramente che la torba non è una risorsa non rinnovabile. Sostenere l’ipotesi di non rinnovabilità allontana dal vero, ossia dai dati scientifici in materia di bilancio, sfruttamento e deposito dei giacimenti. Questo non significa che l’attività estrattiva sia priva di conseguenze ambientali, che questi spazi non consentono di discutere approfonditamente. Tuttavia siamo di fronte ad una risorsa rinnovabile, il cui sfruttamento ha subito notevoli contrazioni nell’ultimo lustro, a causa delle applicazioni di Carbon tax agli impieghi energetici e all’espansione commerciale di altre risorse, oggi in gran voga (come i derivati del cocco). Personalmente lo scenario che vedo opportuno e possibile non coincide con nessuna delle opzioni elencate in precedenza: il futuro vedrà substrati costituiti da materia vegetale coltivata, che non viaggerà per migliaia di chilometri, ma che verrà prodotta da filiere agricole a corto raggio. Si utilizzeranno piante erbacee e non certamente legnose”.

“Mentre in paesi come la Germania i prodotti peat free valgono circa il 5%, in Italia questa tendenza è praticamente assente – spiega Ernesto Ghigna di Vigorplant -. Abbiamo svolto numerose ricerche di mercato sia quantitative che qualitative sugli appassionati di giardinaggio e su questo aspetto non abbiamo trovato alcun riscontro. Se vogliamo cogliere uno spunto dal settore professionale, è opinione diffusa che l’eliminazione della torba privi le ricette di un ingrediente essenziale: difficile poter offrire certe performance. Il biologico è senza dubbio un trend in altri mercati (anche nel 2017 il tasso di crescita del food è stato del 15% secondo Nomisma), ma riteniamo che in questo settore il fattore distintivo del bio sia molto minore, anche se in crescita. È un trend ancora di nicchia, per prodotti adatti a chi cerca attivamente questa caratteristica”.

“La torba rimane il materiale d’eccellenza per la produzione di terricci, ma i tempi di rigenerazione delle torbiere sono lunghissimi con conseguente materiale giovane e più instabile dal punto di vista qualitativo – spiega Laura Galli di Compo Italia -. Trovare della torba conforme a quella di solo dieci anni fa è fattibile, considerando il lievitare dei prezzi d’acquisto. Penso che sia già in atto lo studio di materiali alternativi al fine di ri-equilibrare la qualità dei substrati a costi sostenibili”.

“Nel nostro settore si fa un gran parlare di questo problema, in particolar modo il discorso ‘torba’ viene costantemente riproposto – spiega Simone Gatti di Terflor -. Ci teniamo comunque a sottolineare che solamente una minima parte della torba raccolta viene destinata alla produzione dei substrati. La stragrande maggioranza di quanto raccolto viene utilizzata come combustibile. La fibra di cocco è impattante soprattutto per via del processo di desalinizzazione che vede un utilizzo d’acqua altrimenti destinabile ad altri usi (anche se dobbiamo dire che ultimamente diverse realtà trattano il materiale tramite l’utilizzo di acqua piovana altrimenti dispersa) ma proviene comunque da una fonte ripristinabile in tempi velocissimi (non si va infatti a intaccare la pianta). La perfezione è probabilmente lontana dal raggiungersi ma noi, come Terflor, siamo impegnati nell’approvvigionamento di materie prime da fonti esclusivamente rinnovabili”.

“Il consumatore finale è sempre più attento alle tematiche relative alla sostenibilità ecologica e ambientale – afferma Mauro Giovanazzi di Agrochimica -. Quindi in generale possiamo senz’altro affermare che c’è la volontà di conservare e preservare tutte le risorse naturali. È anche per questo motivo che il riciclo e la riduzione dello scarto sono diventate esigenze particolarmente sentite. Per quanto riguarda la torba e la sua eliminazione nei terricci destinati all’uso hobbistico, non abbiamo invece avvertito una richiesta pressante dal mercato. Probabilmente questo dibattito, in corso nel nord Europa già da molti anni, raggiungerà il mercato italiano solo tra un po’ di tempo. Le alternative alla torba non mancano, anche se alcuni materiali sono tutt’altro che sostenibili, come avete bene argomentato nella vostra premessa. Conscia di questo, Agrochimica non ritiene di dover demonizzare la torba, ma ne promuove un uso consapevole e sostenibile. Merita un discorso particolare il compost. Temiamo che possa prevalere, anche a livello normativo e legislativo, un’impostazione che privilegi esclusivamente il riciclo e lo smaltimento e che venga tralasciato l’aspetto della qualità e, peggio, della sicurezza. Secondo noi il compost può rappresentare una matrice interessante, purché sia il frutto di una selezione rigorosa delle fonti di conferimento e di un attento procedimento produttivo”.

“Come già detto il bio è sicuramente tra i trend in forte aumento ed è senza dubbio un’innovazione dal punto di vista tecnico e funzionale – spiega Erika Toscano di Arber Horticulture -. In realtà però rappresenta ancora un settore di nicchia in quanto, nei fatti, il consumatore continua a preferire il substrato tradizionale fatto con torba. In ogni caso non si può negare che la sensibilità verso i temi ambientali è cresciuta molto nei consumatori. Pertanto riteniamo che, a sostegno di questo nuovo orientamento, è necessario mettere a disposizione del settore un numero sempre maggiore di soluzioni tecniche che consentano di rendere sempre più sostenibile il processo produttivo, compatibilmente con gli obiettivi richiesti dalle certificazioni in materia ambientale”.

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