Analizziamo il ruolo del trade marketing per il garden center e per la sua crescita. Vediamo perché occorre un cambio di visione nel rapporto tra industria e canali retail, che sviluppi sinergie con orientamento al sell out.
Lavorando sia per l’industria sia per il canale al dettaglio ho la possibilità di prendere in esame la situazione del rapporto commerciale dalle due diverse prospettive. Va da sé che ciascuno ha una visione soggettiva, tendenzialmente orientata a risolvere le diseconomie più evidenti oppure a raggiungere il target più semplice. Sebbene siano sempre presenti sul tavolo le migliori intenzioni di crescita comune, emerge una sorta di bassa empatia reciproca che al momento non permette di costruire un rapporto più efficiente e più efficace, in particolare proprio nelle sinergie adottabili per incrementare il sell out, condizione che sarebbe di reciproca soddisfazione e necessità. Qualche iniziativa interessante inizia ad emergere, ma le barriere dell’abitudine e del cambiamento si contrappongono. Si deve uscire dagli stereotipi, dal mainstreaming, dal sentito dire, dai pregiudizi, dalle analogie, perché qualsiasi piano deve partire da una presa di contatto diversa, basata sui fatti e sui pochi numeri esistenti, per superare uno stallo che sta indebolendo tutti gli attori della filiera. Serve una nuova visione e il coraggio per metterla all’ordine del giorno. Non ci si può evolvere continuando a fere le stesse cose.
Cosa succede al canale retail
Perché i fornitori devono collaborare alla crescita dei retailer? Nei punti vendita, dati alla mano, ci sono dei segnali emergenti che prospettano questa situazione: costi operativi (opex) in crescita. Uscite monetarie per investimenti (capex) che hanno una incidenza sul conto economico poco sostenibile, anche per la crescita dei tassi su investimenti in corso e precedenti. Produttività statica o con incrementi troppo lievi e non sempre in linea con l’inflazione. Costo del lavoro con un peso crescente. In sostanza, serve un recupero di efficienza e non è un problema di margine operativo ma di efficienza economico finanziaria nel generare il sell out. Vendere costa troppo. Il fatturato per metro quadrato è basso, l’indice di conversione fra acquisti e ingressi sta peggiorando, mancano logiche e criteri nella gestione delle categorie prodotto: tanti bei teatrini, che ricercano l’effetto “wow”, ma il merchandising applicato è poco efficace, il cross selling trascurato, display prodotti e planogrammi gestiti con approssimazione dove si alternano over stock (troppo prodotto) o rotture di stock (scaffale bucato), uno standard da migliorare perché il carrello è tendenzialmente più scarico e non solo per il clima. I negozi sono poco auto-vendenti con una inadeguata produttività per dipendente. Non vale per tutti ovviamente, ma i segnali che si stia andando in questa direzione ci sono (mai come quest’anno, a inizio stagione, le rotture di stock sono parse evidenti). La situazione finanziaria è tale che diventa difficile sostenere gli investimenti per l’obsolescenza e/o l’inadeguatezza normativa delle strutture. Ma se l’offerta procede, se in qualche modo si va avanti, significa che ci sono condizioni e opportunità per migliorare: occorre muoversi in fretta, nel cambio di mentalità.
La via della crescita
Un fornitore per crescere può inserire nuovi prodotti, strumenti e attività per aumentare la rotazione, oppure trovare nuovi clienti e in alternativa migliorare il cross category: ti sconto di più la categoria A se comperi anche la B. Infine è anche possibile aumentare i prezzi e trovare una infinità di azioni tattiche promozionali e/o premianti in base al risultato. Il dilemma sta se aumentare la quota di mercato o la penetrazione nei clienti e quest’ultimo punto fa la differenza. Costa meno aumentare la quota vendite presso un cliente che trovarne di nuovi, ma questa azione richiede di andare oltre gli standard di sconti, logistica e relazioni personali. Servono formazione, strategie puntuali di merchandising e trade marketing per il garden, serve conoscere come funziona un punto vendita dati alla mano. Soprattutto per capire se una certa posizione è satura o lascia spazio di manovra. Resta implicito che la valutazione della strategia richiede una precisa analisi del mercato. Se abbiamo 3.000 clienti potenziali e abbiamo un prodotto di “largo consumo”, direi che si deve entrare in almeno il 20% delle insegne. Il modello di business deve quindi essere strutturato sugli obiettivi specifici.
L’innovazione di prodotto funziona ma, con cicli commerciali sempre più veloci, volumi parcellizzati e una pletora di punti vendita che richiedono una relazione one to one, con elevati costi di gestione della relazione stessa, anche il fornitore più solido fatica ad avere redditività.
Impostare la crescita profilando il mercato
L’industria, considerando anche grossisti e distributori, ha l’esigenza di crescere in questo mercato molto frammentato, con formati molto diversi fra loro che richiedono azioni di trade marketing sartoriali e modellate sullo specifico cliente. Come si diceva, i costi di relazione crescono, il numero dei competitor è importante in diversi settori merceologici e, spesso, ai marchi manca uno specifico carattere distintivo. Si pensi che in Francia un direttore commerciale, in dieci incontri, potrebbe mettere le basi per servire oltre 2.000 punti vendita. In Italia, se va bene, in dieci incontri si arriva forse a cinquanta. In questa situazione si devono ottenere economie di scala nel mettere a punto modelli di trade marketing scalabili sul singolo format, partendo da una profilazione che segmenti i punti vendita per livello di relazione. Per ogni segmento serve poi attivare azioni commerciali e di merchandising in linea con le necessità. Operativamente vanno studiati i punti vendita, divisi quindi per format e posizionamento per definire il piano di azione da adottare ad ogni segmento. Tanti piani quanti sono i diversi segmenti. Per fare un esercizio sarebbe utile analizzare la propria posizione nel mercato dei top 300, ossia i trecento garden center più importanti nel mercato italiano. Per tracciare uno scenario di crescita, per avere una risposta sulle leve applicate.
Profilare per livello di relazione
Significa calibrare l’investimento in base alla tipologia di punto vendita. Questo implica l’esigenza di avere anche la capacità di sensibilizzare i canali sul valore di contenuti innovativi: da fornitore a consulente, appunto. Il fornitore, in primis, deve comprendere che ruolo ha per lo specifico cliente: strategico, tattico o occasionale e quindi definire come posizionare l’offerta. Se come fornitore sono solo un porgitore di prodotto, devo contenere i costi. Diversi anni fa con Gianni Rizzi di Lexis Ricerche e Giovanni Manera di Areté Business Consulting si mise a punto una matrice che disegnava in qualche misura i criteri di approccio verso il mercato, allineando la strategia al ruolo rivestito oppure adattando il marketing verso la crescita di un ruolo più rilevante.
L’obiettivo è comunque quello di aumentare il valore di acquisto del cliente (Customer Lifetime Value), portarlo verso una relazione fedele e alto spendente, adattando le attività “commerciali” sulle specifiche del segmento, cercando di implementarle. Una metodica di preparazione delle attività e degli strumenti potrebbe comprendere anche uno dei procedimenti utilizzati dalle aziende che si occupano di fidelity ed e-commerce, si tratta di segmentare dinamicamente la customer audience (il parco clienti) utilizzando la “Matrice Rfm” (Recency – Frequency – Monetary), un efficace sistema di analisi del comportamento di acquisto del consumatore (o del punto vendita, in questo caso), basato su tre principali metriche: vediamole più da vicino.
Recency: sapere quanto tempo è passato dall’ultima “spesa” ci aiuta a classificare i clienti secondo l’acquisto che hanno effettuato in 3 stati: short, medium, long.
La frequenza (Frequency) indica invece quanti acquisti hanno fatto i clienti negli ultimi sei mesi o nell’ultimo anno e questa variabile permette di dividerli in acquirenti casual, regolar o common (saltuari, regolari, assidui). Infine la variabile Monetary: quanto ha speso il cliente negli ultimi sei mesi? I tre gruppi che si creano sono: saver, medium e spender (basso, medio e alto spendente).
Conoscere il comportamento di acquisto aiuta molto nell’indirizzare la propria strategia verso condotte diverse oppure rivedendo i criteri dell’offerta allineandola alle specifiche del mercato/cliente. Una bassa frequenza d’acquisto potrebbe dipendere da diversi fattori che vanno pesati, perché spesso un atteggiamento del marketing più attento all’analisi permette di correggere alcuni aspetti che indeboliscono e/o limitano il rapporto commerciale con i punti vendita.
Il “tubo del valore”
Le iniziative delle aziende arrivano ai punti vendita? Arrivano con continuità? Ottengono risultati? Una teoria non recente ma sempre attuale è quella del “tubo del valore”. Se devo bagnare l’orto, il prato o le zucche, devo portare l’acqua dove servirà. Il terminale della canna dovrà essere adattato all’uso specifico, diverso per l’insalatina e le zucche (anche qui in una sorta di segmentazione). Qualora però non si veda arrivare l’acqua, la tendenza è quella di dare più pressione, aumentare l’apertura del rubinetto. Ma se il tubo perde, il “valore acqua” si disperde, non arriva a destinazione e addio insalatina.
Nel mondo del marketing per il garden center accade la stessa cosa, con nuove iniziative che si sommano alle meno recenti ma che spesso non “arrivano”. Cataloghi, pieghevoli, supporti per la formazione, webinar, comunicazione, scaffali, schemi per planogrammi, extra display, esperti che a vario titolo girano per i punti vendita: tutti strumenti e attività che dovrebbero garantire la costruzione di sinergie orientate a incrementare le vendite, la fedeltà al marchio e al punto vendita, al miglioramento della produttività. In realtà tutti questi strumenti che “mettiamo nel tubo” della relazione con i punti vendita non arrivano o hanno breve durata: il tubo perde da qualche parte.
Qualche anno fa, in un settore extra garden, abbiamo verificato l’efficacia dell’utilizzo di espositori fuori banco (extra display), da utilizzare per il cross selling, per collocare il prodotto in aree ad alto traffico, per la gestione della stagionalità. Si trattava di beni importanti con espositori costosi. Ebbene, in oltre il 60% dei casi contenevano prodotti della concorrenza o erano in magazzino. Non c’era alcuna azione di continuità e nessun presidio. Un investimento senza ritorno per l’azienda, di qualche utilità per il punto vendita che aveva un bell’espositore ma nessuna sinergia di valore fra marchio e canale di vendita. Al consumatore è arrivata poca “acqua”. Nel settore del garden è lo stesso: sappiamo che un investimento con scaffali, da gestire fuori banco, costa ed è molto volatile e, nel mettere a punto il modello di business, potrei provocatoriamente consigliare di non investire in strumenti ma semplicemente di essere molto dinamici e di riempire quelli della concorrenza. Così difatti accade.
Qualche riflessione conclusiva
C’è molto da fare e, nei punti vendita, le criticità emergenti sono reali, “fenomeni” a parte. Mi viene da dire che serve un metodo per profilare e allineare gli investimenti al cliente target, serve un’azione continua e non solo “piazzare una bandierina” che dice che quel punto vendita è nostro territorio, la fedeltà non è proprio di questo mondo. Le competenze mi pare ci siano, la necessità anche e serve quindi partire con i pochi dati che ci sono e con un modello, per uscire dallo scenario fatto di sconti e quantità, fattori che non stanno producendo valore.