Comagarden lancia un allarme alle industrie della motocoltura del verde colpite da due fenomeni in particolare: la concorrenza sleale da parte di Paesi emergenti e l’aumento del costo del lavoro, conseguente alle nuove norme contenute nel Decreto Dignità. Queste ultime mettono in crisi un comparto dell’industria italiana particolarmente esposto alle variabili economiche e legato alla stagionalità della domanda.
Comagarden lancia un allarme: il primo caso alla Stiga di Castelfranco Veneto
L’industria italiana delle macchine e attrezzature per il giardinaggio e la cura del verde rappresenta un comparto vincente della meccanica italiana, ma rischia di perdere la propria capacità competitiva. La concorrenza sleale da parte di Paesi emergenti e la rigidità delle nuove norme sui contratti di lavoro – denuncia Comagarden, l’associazione che in seno a FederUnacoma (Confindustria) rappresenta le imprese del settore – minacciano oggi questo segmento produttivo. Un comparto che conta in Italia circa 100 imprese specializzate, con un fatturato annuo prossimo al miliardo di euro e una quota di export pari al 70% della produzione.
“Mai come in questo momento – spiega la nota ufficiale di Comagarden/FederUnacoma – l’industria del gardening deve fronteggiare l’invasione di mezzi meccanici a basso costo, prodotti soprattutto nei Paesi asiatici spesso copiando i brevetti delle aziende italiane senza peraltro offrire garanzie in termini di affidabilità del prodotto e di sicurezza per l’operatore. Nello stesso tempo, i nuovi orientamenti del governo italiano in materia di contratti, contenuti nel Decreto Dignità, rischiano di aumentare sensibilmente il costo del lavoro e indebolire il sistema produttivo, introducendo elementi di rigidità in un settore che per le sue particolari caratteristiche richiede invece un alto grado di flessibilità. La produzione di mezzi per il gardening è infatti strettamente legata alle lavorazioni stagionali. La domanda di rasaerba e decespugliatori si sviluppa in funzione delle manutenzioni primaverili, mentre la domanda di spazzaneve è evidentemente concentrata nei mesi invernali. Le imprese italiane di questo settore possono dunque resistere sul mercato a condizione che sia mantenuta quella flessibilità nelle assunzioni che consenta di fronteggiare i picchi di produzione quando si prospetta la domanda e di ridurre i ritmi di lavoro nelle fasi statiche imposte dalla stagionalità delle manutenzioni”.
I primi effetti del Decreto Dignità nel settore si sono già fatti sentire all’inizio di agosto, quando la multinazionale Stiga di Castelfranco Veneto (ex Castelgarden) ha annunciato l’impossibilità di confermare 150 lavoratori stagionali e ipotizzato l’abbandono della produzione in Italia che metterebbe a rischio l’attività di 800 lavoratori.
“Ho 150 lavoratori che ho già utilizzato con contratti a termine – ha dichiarato Massimo Bottacin, vice presidente del gruppo, al Gazzettino di Treviso – che vorrei assumere anche nella prossima stagione, ma non potrò farlo e queste persone non avranno il loro posto di lavoro in questa azienda, se il decreto resta così com’è, perché dovrei apporre ai loro contratti delle causali che mi esporrebbero a un rischio di contenzioso elevatissimo. E se perdo quel contenzioso, in via teorica, mi potrei ritrovare con 150 dipendenti a tempo indeterminato full time, a cui non avrei la possibilità di dare lavoro. Oltre a penali, sanzioni e altri aspetti economici. Quale azienda di può assumere questo rischio? In Stiga abbiamo sempre concordato gli strumenti di flessibilità con i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali. Ora però questa normativa mette in discussione un modello organizzativo che finora ha questo stabilimento tra i più flessibili d’Italia, ma soprattutto tra i più competitivi. E se viene meno questa competitività, un’azienda come la nostra, proprietà di fondi di investimenti, non italiani, manageriale, che ha già stabilimenti in Cina e in Slovacchia, dove vincoli di questo genere non esistono, dovrà comportarsi di conseguenza. Io, da italiano, farò di tutto per mantenere qui le produzioni, ma che senso logico può avere per azionisti esteri a queste condizioni?”.
È opportuno notare che pochi mesi prima, il 27 giugno, Stiga aveva annunciato un piano di investimento di 25 milioni di euro per potenziare le sedi italiane. Un investimento a questo punto a rischio.